sabato 4 gennaio 2014

La FLC invita a stare attenti, il nuovo apprendistato rischierebbe di fornire manodopera gratis

Nel 2014 forte spinta all’alternanza scuola lavoro con apprendistato e Its. Per il segretario Flc Cgil giusto puntare all’integrazione tra istruzione e mondo produttivo, ma senza finalizzare la formazione a una richiesta di lavoro non sempre di alta qualità. “L’azienda non sostituisce la scuola: se non è innovativa, magari è solo in cerca di manodopera a costo zero”.

Secondo la sintesi del monitoraggio curato da Indire sull’alternanza scuola-lavoro, l’ultimo lustro ha visto in Italia un regolare incremento degli accordi tra scuole e aziende (nel 2012/2013 l’aumento rispetto all’anno precedente è stato del 12,5%), tanto da restituire l’immagine di un Paese sempre più desideroso, ormai, di sperimentare un modello di education realmente orientato alle competenze. E così nel 2014 l’integrazione tra scuola e mondo del lavoro decolla su duplice, anzi triplice fronte: da un lato la sperimentazione dell’apprendistato in una trentina di scuole ‘di eccellenza’, dall’altro il potenziamento del canale di esperienze di alternanza scuola-lavoro e, infine, il via a 64 Istituti tecnici superiori (Its), superscuole di durata biennale alternative all’università. Mimmo Pantaleo, segretario generale Flc Cgil, ci illustra i punti di forza e, soprattutto, di debolezza di questo ambizioso piano.
L’obiettivo che sembra prioritario è quello di realizzare negli istituti tecnici e professionali una alternanza scuola-lavoro che si configuri come un vero e proprio sistema duale, lasciando il modello ‘classico’ in altri tipi di scuole come orientamento al lavoro. Infatti, arriverà a breve il decreto attuativo che consentirà agli studenti degli istituti tecnici e professionali di svolgere parte del percorso scolastico in regime di apprendistato e di ottenere poi alla fine un contratto di lavoro. E’ già stata definita una ‘rivoluzione’, un entusiasmo che condivide?
“Lo giudico eccessivo. In un momento in cui la disoccupazione giovanile ha superato il 40% pensare che uno strumento come l’apprendistato basti a produrre risultati in qualche modo significativi mi pare molto ingenuo. Ricordiamoci che quella che stiamo vivendo è una crisi della domanda di lavoro. Penso però che il tema dell’alternanza scuola-lavoro sia centrale per il nostro sistema di istruzione, stando attenti però a non finalizzare un intero sistema di educazione e formazione a una richiesta professionale spesso non di altissima qualità”.
Possiede già dei dati che giustificano il suo pessimismo? In realtà si stanno concludendo proprio in questi giorni le procedure, curate dagli Uffici scolastici regionali, per l'individuazione delle istituzioni scolastiche della secondaria di II grado presso le quali saranno attivati e finanziati i percorsi di alternanza scuola lavoro…
“No, non possiedo nessun dato, aspettiamo di vedere che cosa uscirà fuori dagli accreditamenti. L’alternanza scuola-lavoro può essere una enorme risorsa per il miglioramento del nostro sistema di istruzione, a patto però che non venga schiacciata sull’idea che la formazione che vale qualcosa è solo quella che si fa in azienda. Torno a puntualizzare, poi, che bisogna fare molta attenzione al tipo di aziende con cui si stipulano gli accordi di alternanza: non sempre si tratta di realtà innovative, in grado di aiutare i ragazzi a far maturare le competenze che sempre più verranno richieste loro. Il mercato del lavoro che si prospetta per il futuro è molto diverso da come che è stato finora, ma quante sono le imprese che si stanno veramente adeguando ai nuovi scenari? Credo che tra qualche anno avranno sempre più valore l’autoimprenditorialità, la capacità di interpretare e interagire coi fattori ambientali, sociali”.
La sua sensazione, se ho ben capito, è che quindi queste competenze possano formarsi meglio in aula che non attraverso il contatto con realtà non realmente innovative, ma magari in cerca di manodopera a costo zero. Quale soluzione prospetta?
“Esatto. L’unica soluzione che potrei avanzare è una meticolosa attenzione al processo di accreditamento. Le aziende da coinvolgere nel processo dell’alternanza scuola-lavoro sono quelle che guardano realmente alla formazione come fattore strategico del loro sviluppo. Non dobbiamo mandare i ragazzi ad acquisire competenze basiche. Cancellerei del tutto la norma del decreto che prevede che l’ultimo anno possa essere trascorso in azienda: l’apprendistato si configura come un rapporto di lavoro a tutti gli effetti e molto facilmente questa prassi potrebbe tradursi in uno sfruttamento sistematico da parte delle aziende. L’alternanza scuola-lavoro, insomma, deve continuare a essere concepita come una risorsa per integrare il percorso formativo dei ragazzi, l’azienda non deve sostituire la scuola!
Il suo sindacato propone un tavolo di confronto e una consultazione continua del Comitato per il monitoraggio e la valutazione dell'alternanza scuola-lavoro. Così però non si rischia di burocratizzare in maniera eccessiva queste esperienze e di scoraggiare così i docenti e le scuole che devono realizzarle?
“Non credo che le cose stiano così: è necessario inserire l’alternanza scuola-lavoro in un percorso di valutazione seria e rigorosa per poter avere informazioni in tempo reale sull’efficacia e sui risultati degli interventi, anche al fine di migliorarli e rimirarli”.
E’ di queste ore la notizia che la Regione Lombardia ha stanziato 146.351 euro per sostenere percorsi di mobilità transnazionale di apprendisti lombardi in aziende francesi. E di fatti la Lombardia già si è distinta tra le regioni che hanno realizzato più percorsi di alternanza all’estero, coinvolgendo 2.384 studenti. L’impressione è che il nostro sistema di istruzione continui a procedere a diverse velocità, eccellendo al Nord e arrancando al Sud…
“L’esperienza della Lombardia proietta l’istruzione italiana in una dimensione di internazionalizzazione, quindi ben venga. Certo nasce all’interno di un territorio che opterebbe per un sistema di istruzione privatizzato, mentre la posizione del mio sindacato è ben diversa: per garantire i diritti costituzionali a tutti i cittadini italiani bisogna che almeno i livelli standard dell’istruzione siano omogenei su tutto il territorio, non importa che tu sia nato a Milano o a Benevento. Poi è naturale che le regioni possano differenziare la loro offerta integrando i livelli essenziali e valorizzando le dinamiche territoriali e i diversi contesti sociali ed economici”.
OS