martedì 4 aprile 2017

Diffamare un docente o il dirigente, cosa si rischia?

La scuola è un mondo complesso, organico, ma dove è sempre più difficile dialogare e dove soprattutto il ricorrere alla via legale per tutelare i propri diritti è diventata, rispetto a qualche anno addietro, l’assoluta ordinarietà. Dunque, i contenziosi sono in consistente incremento.
Ad esempio è interessante notare come sono aumentate le sentenze in materia di diffamazione che riguardano docenti e dirigenti scolastici anche per questioni di carattere sindacale. D’altronde dal 2009 con il famigerato decreto Brunetta, ovvero da quando sono stati ampliati i poteri dei dirigenti, rendendoli in figure più decisioniste rispetto al passato, tra gli effetti collaterali,prevedibili, vi è  stata l’esasperazione dei rapporti all’interno delle mura scolastiche.


Diverse sono le sentenze che trattano casi di denuncia  per diffamazione prodotti dai dirigenti, od anche da docenti contro i dirigenti. E si deve dire che da una statistica sommaria la giurisprudenza tenderebbe ad essere più favorevole per i dirigenti. Cito la Cass. pen. Sez. I, Sentenza del 28-04-2016, n. 17603. Che afferma dei principi importanti in materia di diritto di critica all’interno della scuola e determina i paletti entro cui ci si dovrebbe muovere per evitare di incorrere nel reato di diffamazione. “
E’ noto che il diritto di critica, garantito dall’art. 21 Cost., si concretizza nell’espressione di un giudizio, di un’opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica non può che essere fondata su un’interpretazione necessariamente soggettiva dei fatti ed i limiti scriminanti sono solo quelli costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento e dalla correttezza di espressione, dovendosi considerare superati tali limiti ove l’agente trascenda in attacchi personali, diretti a colpire su un piano individuale la sfera morale, penalmente protetta, del soggetto criticato (v. Cass., sez. 5, 2 luglio 2004, n.2247, in C.E.D. Cass., n.231269).
A ciò deve aggiungersi che le modalità di estrinsecazione del diritto di critica non devono superare i limiti della continenza espressiva. Osserva Sez. 5, Sentenza n. 3356 del 2011 che “Continenza significa proporzione, misurate continenti sono quei termini che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati rispetto ai fini del concetto da esprimere e alla controllata forza emotiva suscitata della polemica su cui si vuole instaurare un lecito rapporto dialogico e dialettico. La continenza formale non equivale a obbligo di utilizzare un linguaggio grigio e anodino, ma consente il ricorso a parole sferzanti, nella misura in cui siano correlate al livello della polemica, ai fatti narrati e rievocati”.
Non si tratta dunque di valutare la veridicità di proposizioni assertive, per le quali possa configurarsi un onere di previo riscontro della loro rispondenza al vero, quanto piuttosto di stimare la correttezza delle espressioni usate (Sez. 5, n. 7499 del 14/04/2000, Chinigò, Rv. 216534). La critica pertanto, vieppiù quella in materia sindacale – che deriva la sua natura dal fatto che nasce da un gruppo di professionisti o di lavoratori della stessa categoria, o anche da uno solo di essi, ed ha per oggetto un argomento di carattere corporativo, attinente cioè agli scopi ed interessi della categoria – può assumere talora anche caratterizzazioni esagerate o aggressive, esplicandosi con l’uso di toni oggettivamente aspri e polemici, senza che possa così essere interessata la sfera penale, salvo, come in precedenza rilevato, il limite del rispetto dell’altrui dignità morale. In questa ottica è stato affermato che il requisito della continenza è superato solo in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, dovendosi peraltro valutare il contesto nel quale la condotta si colloca, sia pure ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica (ASN 201115060 – RV 250174).
Dunque per i Giudici “La critica, quando si esprime nella stigmatizzazione di comportamenti o fatti, deve avere per connotato essenziale l’obiettivo di contribuire all’approfondimento della conoscenza ed alla formazione di un giudizio autonomo da parte dei destinatari del messaggio, di tal che l’impossibilità di ricostruire il contesto e decifrare i termini adoperati non consente di ravvisare l’esimente dell’esercizio del diritto.”

via Orizzontescuola