giovedì 2 gennaio 2014

La spending review taglierà i posti di sostegno, sono troppi!

Intervista a Daniele Checchi, a capo del gruppo di lavoro al MIUR per la Spending Review. Mentre in quasi tutte le Università partono i tirocini per le abilitazioni al sostegno, Checchi, coordinatore del comitato del Miur per la spending review, avverte: “Non possiamo continuare ad assumere docenti di sostegno ai ritmi degli ultimi anni”. E poi sul costo standard dell’istruzione: “Bisogna mettersi d’accordo: la scuola deve produrre titoli o competenze?”

Nessun rischio per le 29.000 assunzioni pianificate per il prossimo triennio, ma occhio lungo sul ‘meccanismo perverso’ di attribuzione delle ore da parte delle Asl. Criteri troppo diversificati da regione a regione.

Col Sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria avevamo salutato l’anno scolastico in corso come quello della rivoluzione ICF (International Classification of Functioning), delle linee guida per l’inclusione degli alunni con disabilità, della nuova infornata di docenti abilitati per il sostegno (dopo le feste test di ammissione ai corsi di Tfa un po’ in tutti gli Atenei), ma in realtà dalla Commissione per la spending review potrebbe arrivarne un’altra e ben diversa di linea guida, improntata a quella che in gergo si chiama ‘razionalizzazione’.

E già, pare che nel nostro Paese possa non esserci poi tutto questo gran bisogno di figure specializzate nell’inclusione degli alunni con handicap: la priorità adesso è studiare a fondo il meccanismo della loro certificazione e, di conseguenza, dell’assegnazione delle ore di sostegno per moderare un trend di assunzioni ‘anomalo’. La pensa così Daniele Checchi, professore ordinario di economia politica all’Università degli studi di Milano noto per i suoi importanti contributi all’economia dell’istruzione e nominato dal ministro Carrozza come coordinatore del comitato interno al Miur per la spending review.

Gli abbiamo rivolto qualche domanda per sapere che aria tira nel gruppo, a che punto sono i lavori “per il miglioramento dell’efficacia gestionale e la riorganizzazione della spesa”, se i temi che hanno riscaldato l’autunno 2013 della scuola in qualche modo rientreranno anche nell’agenda del risparmio dei prossimi mesi.

Professore, la commissione si è insediata da ormai due mesi, è già stata redatta una prima relazione?

“No, finora abbiamo avuto solo audizioni con i funzionari del ministero dell’Istruzione, un vero e proprio documento formale verrà redatto e portato a conoscenza dell’opinione pubblica solo alla fine dei lavori”.

Che cosa è emerso, dunque, da questi primi incontri?

“Finora abbiamo per lo più acquisito informazioni statistiche, il nostro scopo è verificare se ci sono margini di recupero di efficienza nel comparto scuola, come indicato anche nel documento pubblico del decreto di nomina della commissione”.

Ci sono questi margini?

“Ci sono i  margini, ma non è così facile incidere su di essi perché una parte della spesa per l’istruzione grava sul governo centrale, ma un’altra parte consistente è di competenza degli Enti Locali, cioè le Regioni, le Province, i Comuni. Si tratta di un tema aperto che non ha ancora trovato una soluzione adeguata. Se, per esempio, prevalesse la linea politica dell’abolizione delle Province, attualmente responsabili della manutenzione e della sicurezza degli edifici che ospitano le scuole secondarie di secondo grado, non è ben chiaro a quale struttura potrebbero passare queste competenze. I canali possibili sono due, o le Regioni o i Comuni, cui competono già gli edifici del primo ciclo. Il problema sarà, appunto, capire come indirizzare e ripartire le risorse”.

Per quanto riguarda invece il sostegno, pensa che la spending review possa incidere sulle 29.000 assunzioni pianificate dal Miur nei prossimi tre anni?

“No, non ci sarà nessuna incidenza sulle assunzioni, il problema vero è capire come gestire meglio di come si sia fatto finora il trend crescente dei docenti di sostegno in Italia. Parliamo di un corpo di docenti molto significativo, 100.000 su 700.000 insegnanti totali. Il loro numero non può continuare a crescere al ritmo esponenziale con cui è cresciuto in questi ultimi anni. C’è un problema di gestione di queste risorse e il primo passo da compiere è l’analisi del fabbisogno reale che se ne ha”.

Eppure l’attenzione ai bisogni speciali degli studenti è un fiore all’occhiello del sistema di istruzione italiano, prenderlo di mira adesso come una voce in qualche modo ‘passiva’ che conseguenze potrebbe produrre?

“Noi ci concentreremo soprattutto sulla modalità di assegnazione dei docenti di sostegno, che mi sento di definire come un meccanismo perverso: sono le Asl che decretano il numero di ore di affiancamento di cui gli allievi hanno bisogno, ma abbiamo riscontrato che questi criteri di assegnazione variano molto da regione  a regione, non si spiegherebbe altrimenti la differenza numerica a volte molto significativa tra un territorio e l’altro. Insomma, occorre ripensare in maniera diversa l’attribuzione di queste ore”.

Questo potrebbe facilmente tradursi in nuovi tagli lineari…

“Non è questo l’obiettivo. Ci interessa studiare a fondo i criteri con cui vengono ripartite le risorse e per fare questo bisogna innanzitutto accordarsi sulla definizione del costo standard dell’istruzione, domandandosi se il livello del servizio si misura per alunno o per unità di apprendimento”.

Può essere più chiaro?

“Dobbiamo finalmente decidere che cosa deve produrre la scuola: titoli di studio o competenze? Solo dopo questo primo passo cruciale forse si sarà in grado di creare un risparmio significativo. Rientra nella definizione del costo standard anche il numero di alunni per classe”.

In Italia si parla già di sovraffollamento delle classi… pensa che possa esserci un ulteriore aggravio da questo punto di vista?

“Credo proprio di no, la linea del ministro Carrozza è stata chiara: la scuola negli ultimi anni è già stata pesantemente colpita dai tagli e l’obiettivo adesso non è quello di incidere per deprivarla ancora, ma migliorare la sua efficienza”.

Se si parla di efficienza in questo momento viene naturale legarla al tema della valutazione, in particolare quella degli insegnanti: anche questo argomento sarà sotto la lente di ingrandimento della Commissione?

“Direi di no”.

La sperimentazione del liceo a quattro anni può produrre invece certamente un risparmio significativo, è fin troppo facile fare due conti. Lei come la giudica?

“Mi sento favorevole se l’obiettivo è quello di far uscire i giovani dal sistema di istruzione un anno prima di quanto avvenga adesso, rivedendo però contestualmente anche il meccanismo di certificazione finale delle competenze. Accorciare il percorso di un anno senza inserire questo intervento in una riforma più organica e strutturale non penso possa portare a risultati efficaci per il nostro sistema di istruzione”.

OS