Ora dopo ora, comincia a delinearsi
la filosofia che avrebbe spinto il Governo Monti a voler incrementare,
attraverso un decreto severissimo e inaspettato, l’orario dei docenti
italiani. A far intendere dove vuole si vuole arrivare è il responsabile
del Miur, Francesco Profumo, nel corso di un intervista al quotidiano
“La Repubblica”: il Ministro sostiene che è ora di finirla di “coltivare il luogo comune degli insegnanti italiani che guadagnano poco e lavorano poco: chiedo solo che siano più flessibili”. Poi aggiunge la frasi chiave: “Si
potranno differenziare gli stipendi: più bassi per chi vuole lavorare
solo la mattina, retribuzione piena per chi accetta l’aumento delle ore”.
Se a queste parole sommiamo quelle
dette pronunciate poco prima, a proposito della volontà di attuare
aumenti ai prof in busta paga (“legittimi ma per ora impossibili per il Paese”),
è evidente l’intenzione quindi l’intenzione del Governo di varare una
rivoluzione epocale della scuola italiana senza un euro di investimento.
E qui il cerchio sembra chiudersi. Con una doppia penalizzazione per i
docenti. Se il cinico disegno andrà in porto, i prof che si ritroveranno
per 24 ore a settimana in classe continueranno infatti a mantenere il
magro stipendio attuale (già tra i più bassi dell’area Ocse), mentre
quelli che rimarranno a 18 ore si ritroveranno di fatto in una posizione
di part time. Questi ultima, in pratica, continueranno a fare quello
che hanno fatto sino ad oggi, ma con un perdita secca di alcune
centinaia di euro mensili in busta paga. Insomma, nel predire che
si va verso un docente medio italiano tra i meno pagati d’Europa e però
costretto a rimanere in classe (con in media 25 alunni) per più tempo
di tutti, non ci siamo sbagliati.
Su un punto ci siamo però abbiamo
peccato in ottimismo: non avevamo considerato la possibilità che il
Governo da questo aumento forzato di euro sembrerebbe volerci
addirittura guadagnare due volte. Sottraendo ai supplenti tra le 6mila e
le 29mila cattedre
e costringendo una non certo limitata percentuale di docenti
(soprattutto i più stanchi) a rimanere alle attuali 18 ore.
Riscuotendo così una parte del loro stipendio.
Ogni commento appare a questo punto
superfluo. Ogni docente farà il suo. Molti lo esprimeranno a voce alta.
Le vibranti proteste, anche di piazza (con i sindacati già pronti a
ricompattarsi), arriveranno sicuramente alle orecchie dei politici che
siedono in Parlamento: onorevoli e senatori che nelle prossime settimane
saranno chiamati a votare la Legge di Stabilità. I prof diranno loro
che si tratta di un sopruso, di un’ingiustizia, che il lavoro del
docente non si limita di certo alle lezioni frontali con gli alunni. Ma
che oltre al tempo passato in classe ci sono una miriade di impegni: da
quelli collegiali alla preparazione delle lezioni, dalla correzione dei
compiti alla formazione. Per non dimenticare gli interminabili contatti e
colloqui con le famiglie.
Farebbero bene ricordare loro, ai
politici, che quello dei docenti è anche il settore che rappresenta più
personale tra la pubblica amministrazione: un “esercito” di 700 unità.
Che hanno di fronte sette-otto milioni di alunni. E di famiglie.
Accanirsi contro i loro insegnanti potrebbe creare non pochi
contraccolpi. Già dalle elezioni politiche della prossima primavera.
Tecnica della Scuola