lunedì 17 settembre 2012

TAGLIA E RITAGLIA ALLA FINE L'ALUNNO RAGLIA



 
“Taglia e ritaglia alla fine l’alunno raglia”, cantavano lo scorso anno i bambini montessoriani sotto al Miur. Ora i dati dello studio “Education at a glance”, diffuso oggi dall’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), sembrano certificare che la scuola italiana è prossima al punto di non ritorno. Investimenti all’osso, professori anziani e malpagati, disaffezione e assenza di sbocchi hanno inceppato la funzione formativa e azzerato il meccanismo di “ascensore sociale”.
Il volume dell’Ocse pone a confronto i sistemi educativi dei 34 Paesi membri attraverso una fitta serie di indicatori di tipo economico e sociale sui rendimenti dell’istruzione e le risorse umane e finanziarie utilizzate dai diversi Paesi nel settore educativo.

La principale indicazione evidenziata dal rapporto riguarda la correlazione tra condizione sociale della famiglia e successo scolastico: più povera è la famiglia, minori sono le probabilità di successo. Insomma siamo tornati all’ereditarietà del titolo di studio: in Italia chi nasce in famiglie con meno possibilità e con genitori con titoli bassi di istruzione ha scarse possibilità di avere un lungo percorso scolastico. In cifre, il 44% di giovani 25-34enni i cui genitori non hanno completato l’istruzione secondaria superiore fa la stessa fine, si ferma alle medie. A questo si deve aggiungere che il 23% dei giovani tra i 15 e i 29 anni (contro il 16% della media Ocse) nel 2010 non studiava, ma neppure aveva un lavoro.
Il collasso educativo è frutto di una scelta precisa. L’Italia investe solo il 4,9% del proprio Pil in Istruzione (contro una media Ocse del 6,2% calcolata in 37 Paesi): percentuale che colloca l’Italia al 31° posto su 37. Fra il 2000 e il 2010 la percentuale di spesa pubblica destinata al comparto è scesa dal 9,8 al 9% (la media Ocse è al 13%). Un dato che colloca l’Italia al penultimo posto tra i paesi industrializzati. A crescere - per effetto dei tagli di organico - è invece il rapporto studenti/docenti: 11,8 studenti per docente alla materna, 11,3 alla primaria e 12 alle medie/superiori.
Ancora peggiore è il dato che riguarda la percentuale della spesa per l’istruzione sul totale della spesa pubblica: solo il 9% contro una media Ocse del 13% (31° posto su 32). La spesa annua per studente è di 9.055 dollari contro una media Ocse di 9.249, ma si nota che gli investimenti per la scuola materna ed elementare sono in Italia tra i più elevati mentre quelli per l’università sono tra i più bassi: 9.561 dollari contro una media di 13.719.
Per quanto riguarda l’età media degli insegnanti, il rapporto Ocse ci dice che in Italia è di 50 anni. Gli “under 30” sono meno dello 0,5% in tutti i gradi di scuola (contro una media Ocse del 14% nella primaria). La porzione più cospicua di insegnanti italiani è nella fascia 50-59 anni (39,3% alla primaria, 50% a medie e superiori). Nella secondaria la quota di “over 60” sfiora il 10%.
Nella classifica dell’Ocse, gli stipendi dei docenti italiani si piazzano al 24° posto (su 27 paesi) per gli insegnanti della primaria, al 23° per le superiori. 39.762 è la media in dollari dello stipendio massimo dei docenti italiani, contro una media Ocse di oltre 45mila.

Queste alcune cifre fornite dall’Ocse. In passato abbiamo polemizzato con la scarsa attendibilità dei dati Ocse relative alla ricerca Pisa (quella sui risultati dei quindicenni in lingua, matematica e scienze, che si svolge ogni 3 anni) per le modalità di acquisizione (i famigerati test) e la scelta poco rigorosa del campione. Stavolta, invece, si tratta di dati sicuramente attendibili che è difficile contestare.
Sono dati terribili ma che non stupiscono chi come i Cobas denunciano da anni la “rottamazione” della scuola (e di tutti gli altri servizi pubblici) e un conseguente ritorno alla scuola di classe pre-Sessantotto. I governi di centrodestra, centrosinistra e quello attuale (emanazione diretta di banchieri e industriali) hanno svolto il loro compito: bloccare la dinamica sociale, allontanare quanti più giovani poveri dalle aule, rendere l’istruzione un mercato, ridurre gli investimenti pubblici nell’istruzione.  
È quanto continuiamo a dire (pressoché da soli) da diversi anni: con la scusa del deficit si taglia lo stato sociale mentre si incrementano le spese per mantenere l’abnorme classe politica, missioni militari all’estero, acquisizioni di armamenti e TAV.
Come funziona questo meccanismo ce lo spiega un'interessante articolo di Paul Krugman, premio Nobel per l'economia, apparso qualche settimana fa sul New York Times, che potete leggere a questo url http://cambiailmondo.org/2012/08/04/paul-krugman-usano-il-panico-da-deficit-per-smantellare-i-programmi-sociali/.   

Cobas