Per cambiare si deve essere ‘visionari’
E’ questo il punto sul quale si è registrata una sostanziale
convergenza tra l’attuale ministro ‘tecnico’ dell’istruzione Francesco
Profumo e il suo predecessore ‘politico’ Luigi Berlinguer nella
affollata (malgrado lo sciopero dei mezzi pubblici) iniziativa di
presentazione della pubblicazione ‘I numeri da cambiare’, svoltasi oggi
alla Luiss, sulle cui caratteristiche abbiamo riferito con altra notizia.
Più legati a un approccio
pragmatico-realistico sono apparsi invece altri relatori, dagli esperti
Daniele Checchi e Mauro Sylos Labini al ministro Barca e all’ex ministro
Gelmini.
Profumo ha insistito sull’importanza di disporre di dati (purchè certificati e open,
ha precisato) a supporto delle decisioni, ma ha insistito anche sulla
necessità di un nuovo tipo di insegnante per una scuola che richiede una
didattica non più di tipo trasmissivo ma centrata sulla partecipazione
attiva del discente e sull’interazione continua con il docente. E di una
autonomia vera delle scuole e delle università, cui si accompagnino
rigorosi processi di valutazione dei risultati ottenuti.
Concetti ripresi da Berlinguer, che ha
svolto l’intervento conclusivo riscuotendo (come spesso gli capita) un
notevole consenso tra il pubblico: l’insegnante deve essere (diventare)
un leader educativo in un quadro di ‘Learning centred Education’. Ciò che richiede anche un’edilizia scolastica di tipo nuovo, con spazi gestibili in modo più flessibile.
Ma per passare dall’attuale realtà della
scuola italiana a quella auspicata serve discontinuità, serve uno
scatto ‘visionario’, ha detto Berlinguer con un’immagine che echeggià un
po’ il noto invito di Steve Jobs (“be fool, be hungry”): per
esempio quello di passare anche nel settore dell’istruzione – e non solo
di quella superiore - da un’ottica statocentrica ad una compiutamente
europea. Cominciando magari con il varare un dottorato di ricerca (Phd)
europeo.
Riesaminando la sua esperienza di
ministro Berlinguer ha rivendicato il carattere ‘visionario’ della
scelta del modello 7+5, cioè dell’unificazione della scuola elementare
con quella media (il ‘buco nero’ della nostra scuola, secondo Oliva), e
della riduzione della durata della scuola prima dell’università a 12
anni.
Occorrerà però capire meglio come e
perché le idee più innovative e ‘visionarie’ (come lo fu anche
l’unificazione della scuola media) si siano poi arenate (Berlinguer su
questo non si è espresso), e augurare alle idee di Profumo migliore
fortuna. Forse lo aiuterà l’imponente sviluppo delle tecnologie, ma
servirebbero docenti di tipo nuovo, capaci di ripensare davvero il
rapporto con i loro allievi in senso learning centred. Cioè più
cooperativo e laboratoriale. Ma i Tfa e i nuovi-vecchi concorsi vanno in
questa direzione?
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