giovedì 31 gennaio 2013

Gian Antonio Stella, Corsera, parla di merito e si schiera contro i TFA

Bocciare il merito: la scuola non cambia mai

di Gian Antonio Stella - Corriere della Sera

"Affidereste vostro figlio a un aspirante docente di francese che dovendo mettere a segno almeno 42 risposte corrette su 60 ne ha indovinate soltanto 32 nonostante 21 fossero state «regalate» dal ministero per evitare migliaia di ricorsi su quesiti pasticciati o sballati?"


Affidereste vostro figlio a un aspirante docente di francese che dovendo mettere a segno almeno 42 risposte corrette su 60 ne ha indovinate soltanto 32 nonostante 21 fossero state «regalate» dal ministero per evitare migliaia di ricorsi su quesiti pasticciati o sballati? E a un professore di biologia che, a parte 25 quiz «abbuonati» (un delirio) ne ha risolti 10, cioè uno su sei?

Ammettiamo che quegli insegnanti marchiati come somari avessero accatastato anni e anni di supplenze e di precariato, vi potreste fidare solo della loro accumulazione di ore passate in cattedra?

È tutto qui il tema dello scontro doloroso che intorno alla proposta di un’altra sanatoria sta dilaniando i «sommersi» e i «salvati» del Tfa (Tirocinio formativo attivo), quel concorso in tre prove (preselezione con quiz, poi scritti e orali) per scegliere un certo numero di docenti (20.067) da avviare all’abilitazione dando loro successivamente il diritto a partecipare («quando e se ci sarà») al concorso vero e proprio per conquistare una cattedra.

Progettata nel 2008 ma partorita solo nel luglio scorso, la selezione aveva visto via via ridursi le 179.982 domande iniziali a 115.553 partecipanti ai quiz e poi ancora a 26.626 ammessi alla prova scritta dopo essere usciti indenni dai test con i 60 quiz (10 generici e 50 sulle varie materie: inglese per gli aspiranti professori di inglese, matematica per quelli di matematica e così via) nonostante gli strafalcioni che imbottivano i questionari.



Strafalcioni così diffusi e gravi da indurre il ministero a donare pacchetti su pacchetti di risposte abbuonate fino a recuperare poco più di ventimila esclusi portando il totale degli ammessi agli orali a 46.686. Oltre il doppio delle possibili cattedre domani, chissà, a disposizione. Ma così diffusi e gravi da spingere anche i sospettosi a immaginare che molti di quegli spropositi fossero stati infilati apposta nelle prove per far saltar tutto, svergognare per l’ennesima volta una scrematura basata sul «merito» e arrivare al solito traguardo: la sanatoria. Quella peste bubbonica che (al di là dei destini, delle angosce, delle sofferenze dei precari che solo chi ha il cuore di pietra può non capire) da oltre un secolo e mezzo è uno dei guai della scuola. Basti dire che la prima di queste sanatorie («In eccezione alla regola del concorso il Re potrà chiamare a professori nei licei gli uomini che per opere scritte, o per buone prove nell’insegnamento, saran venuti in concetto di grande perizia…») fu varata addirittura nel 1859.


Fatto sta che, nella scia delle polemiche su quella che i vincitori ritengono sia stata una dura selezione decisa dopo tanto tempo per tentare almeno di individuare i più bravi e che i bocciati considerano un’ingiusta ecatombe, il governo ha proposto un decreto ministeriale per salvare buona parte degli esclusi con un «Tfa speciale» che recuperi quanti hanno una certa anzianità di precariato. Anzianità che qualcuno vorrebbe più lunga e altri più corta, o magari via via accumulata nel tempo, dal 1999 al 2012, a spizzichi e bocconi.

Va da sé che la corsa alle elezioni ha accelerato tutto. Con alcuni partiti schierati decisamente in commissione per la sanatoria larga, come la Lega, Futuro e libertà o l’Idv e altri più prudenti se non ostili ma timorosi di mettersi di traverso a una cosa che riguarda diverse decine di migliaia di precari e le loro famiglie. Tutti voti coi quali fare i conti.

«Ho combattuto a lungo perché il Pd, di cui presiedo il Forum Nazionale Politiche Istruzione, evitasse di dare la propria benedizione a un provvedimento palesemente ingiusto, devastante per la scuola e difforme da quanto espresso nei nostri documenti dove si dice che “va garantito un equilibrio tra immissioni dalle graduatorie e nuovo reclutamento attraverso un’opportuna relazione fra numero chiuso e fabbisogno”», spiega Giovanni Bachelet, «Ma questa linea di equilibrio e coerenza, purtroppo, al Senato è stata sconfitta». Alla Camera se ne parlerà mercoledì prossimo, ma col voto che incombe chi se la sentirà di stare dalla parte di ventimila «promossi» invece che da quella dei sindacati e dei novantamila «bocciati»?

Nella piazza del web i due schieramenti si sfidano a muso duro. Di qua quelli come Domenico Prellino, Elena Petenzi, Francesca D’Appollonio o Sara De Lorenzis che, usciti vincitori, ricordano che a quanti vantano lunghe anzianità era già stato dato «un enorme bonus in accesso, “previo” superamento delle prove» e che sono stufi più di una realtà dove «c’è chi rispetta le regole, studia, si fa selezionare, continua ad aggiornarsi e chi invece aspetta i condoni, accumula punti con corsi farsa, scalda la cattedra avendo l'assoluta certezza della totale impunità». Di là quelli come Oriana Pappalardo che rivendica d’essere «brava, molto brava» e d’aver cominciato a far supplenze a 18 anni: «Ho lavorato per moltissime scuole private di Catania, gestendo classi impossibili, con le quali ho rotto anzitempo il rapporto di lavoro perché, tranne una volta, non sono stata mai pagata».

E allora, incita, «finiamola con questa “guerra tra poveri”, siamo tutti laureati, tutti istruiti, eppure non comprendiamo il banalissimo concetto di “l’unione fa la forza”?» Al che Giulia, rilanciata da un mucchio di blog, risponde che a lei e ad altri non basta l’autocertificazione «sono brava, molto brava», che «una selezione carente è sempre meglio di nessuna selezione» e che molti precari storici possono essere eccellenti ma «il valore intrinseco dell’esperienza acquisita», quando non è stato mai sondato né certificato, «in linea di principio non può essere dato per scontato».

Del resto, «chi mai ha visto licenziare un docente palesemente incompetente?». E più ti inoltri in questo alluvionale tormentone di lettere e risposte, accuse e contro accuse, ansie e rabbie, lacrime e invettive, più ti senti sperduto in un’intricatissima foresta in cui ancora una volta è stata smarrita la strada che porta a quel «merito, merito, merito» di cui tutti si riempiono la bocca. E in cui i diritti fondamentali da difendere sembrano comunque essere ancora quelli dei professori e solo dopo (molto dopo) quelli degli studenti.